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venerdì 30 marzo 2018

DSA: il bambino come parte di un sistema



Possiamo considerare la famiglia come “un sistema aperto che funziona in relazione al suo contesto socio-culturale e che si evolve durante il ciclo di vita”(Walsh, 1986, p.53).
Le fasi del ciclo vitale della famiglia sono scandite da eventi normativi (matrimonio, nascita di un figlio, morte di un genitore anziano,…) ed eventi paranormativi (malattie, morti improvvisi, divorzi, traslochi,…).

Ad ogni tappa la famiglia ha bisogno di ristrutturarsi. Cambiano le priorità, la routine quotidiana, gli obiettivi e soprattutto i ruoli. Basti pensare alla nascita del primo figlio: oltre alla gioia, quest’evento porta ad uno sconvolgimento di tutto il sistema. C’è un vero salto generazionale in cui i genitori diventano nonni, i fratelli zii e i figli diventano genitori; inoltre i partner, da che erano solo una coppia, ora condividono la nuova funzione genitoriale.

Per affrontare questi cambiamenti, la famiglia ha bisogno di mettere in campo ogni risorsa disponibile per raggiungere un nuovo equilibrio. Quando ciò non avviene, il sistema si trova bloccato e può capitare che uno o più membri esplicitino il malessere attraverso dei sintomi.


Possiamo considerare la diagnosi di un figlio con Disturbo dell’apprendimento, come qualsiasi altra diagnosi, un evento paranormativo, che può destabilizzare l’intero sistema: il bambino deve comprendere e accettare ciò che sta accadendo, mantenendo un’autostima adeguata, i genitori hanno il compito di guidarlo nella scoperta delle sue abilità e accogliere le sue frustrazioni, oltre ad accettare loro stessi la situazione; anche il ruolo degli altri membri della famiglia è fondamentale, in quanto fonte di sostegno importante.
È possibile che in queste situazioni ci si trovi sopraffatti da forti emozioni di disagio, di rabbia e di paura.

Vediamo insieme alcune delle difficoltà in cui si può trovare la famiglia:
  • Il bambino può faticare a comprendere la situazione e sentirsi diverso e inadeguato rispetto ai suoi compagni;
  • i genitori, per “proteggere” il figlio, possono sminuire il problema, non aiutandolo nel compito di accettare questo nuovo aspetto di sé; questo atteggiamento di negazione può portare a pretendere dal bambino cose che non può fare o, al contrario, non chiedergli assolutamente nulla;
  • la famiglia può fare fatica a chiedere aiuto all’esterno, chiudendosi all’interno;
  • nel caso in cui ci siano altri fratelli o sorelle, potrebbero sentirsi trascurati o poco importanti per le attenzioni rivolte al bambino con il disturbo, o eccessivamente sottopressione, in quanto si chiede loro di soddisfare aspettative più alte.

Dunque, cosa fare?

È importante sapere che ogni famiglia ha in sé le capacità e le risorse per affrontare qualsiasi cambiamento. Quando ciò risulta più difficile è utile chiedere un sostegno ad uno specialista, che può accompagnare la famiglia in questo processo di ristrutturazione.

Dott.ssa Valentina Marocco


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